“Se questo è un uomo” di Primo
Levi
di Jasmine Gigli*
Primo Levi nasce a Torino nel 1919,a ventiquattro anni,essendo
entrato in un gruppo partigiano,viene arrestato e poi deportato,in
quanto ebreo,ad Auschwitz,in territorio polacco. Lì rimane per un
anno fino alla sua liberazione.
Nel 1947 pubblica “Se questo è un
uomo”,testo scritto in un linguaggio semplice e con uno stile
lineare,simile a quello di un diario,che esprime la condizione di
disperazione e la miseria degli ebrei rinchiusi nel campo di
sterminio.
Tutto è giustificato dall’obbiettivo
terribile e ripugnante al quale tende l’organizzazione dei campi di
lavoro:umiliarli e sterminarli. L’annullamento totale dell’uomo,la
sua distruzione, è simboleggiata dall’autore nel tatuaggio che viene
fatto sul braccio degli ebrei. Non hanno diritto ad essere
uomini,sono solo numeri.
Il testo si apre con la descrizione dei
deportati che,confusi e spauriti,scendono dal vagone ferroviario che
li ha portati a destinazione.
Essi vengono accolti dai “visi di
pietra”delle S.S che provvedono a smistare i detenuti:i più forti e
i più sani sono destinati al duro lavoro nel campo,i deboli e i
malati sono avviati verso le camere a gas. Nella prima strofa della
sua poesia,il poeta si rivolge a chi vive nel benessere delle
proprie case ed è circondato dall’affetto dei suoi cari.
L’uomo viene descritto come colui che
lavora nel fango,che si azzuffa per accaparrarsi un pezzo di pane
,la donna viene descritta senza capelli e senza nome,con gli occhi
incavati e il ventre freddo perché spoglio e viene paragonato ad una
rana in inverno. Gli uomini,dice Levi,devono riflettere sul fatto
che ciò è realmente accaduto e il messaggio che egli dà agli
uomini,lo devono scolpire nei propri cuori…
Durante la lettura ho provato grande
commozione e partecipazione. Non posso pensare che tutto ciò sia
realmente accaduto,anche se oggi risultano accadere simili atrocità
in varie parti del mondo.