«La mia vita è tutta un poker. Dopo l'infarto io rilancio»
Il giornalista ha triplicato i suoi impegni: tra Mediaset, cinema e Sanremo





di CESARE LANZA



Cesare- Diciamolo: ci vuole una bella faccia tosta, per proporti con un'autointervista.
Lanza- «Ehi, calma: mi ha autorizzato Vittorio Feltri!».

Chissà perché...
«Forse per spingermi a essere sincero».

È difficile?
«Impossibile, ma ci proverò».

Forse Feltri, impietosito dall'infarto che hai sventato a luglio, ha voluto darti la possibilità di scriverti da solo il coccodrillo.
«Non lo farò. Però posso rivelare tre necrologi divertenti...».

Avanti.
«Il primo è di Gian Antonio Stella: Lanza ha dato al giornalismo più di quanto il giornalismo abbia dato a lui».

Comincia l'autocelebrazione?
«Ascolta gli altri. Da una mia amica: Cesare era un uomo tutto case e famiglie.  E il terzo, di un mio amico, è proprio velenoso: Cesare? Forse era pazzo, certo ha fatto una vita del c.....!».

E non è così?
«Le famiglie ci sono. Quanto alla vita, è un non senso assoluto non solo per me: alla fine è solo polvere».

Giriamo pagina...
«È una settimana importante per me: al debutto due dei tre programmi televisivi di cui mi occupo in questa stagione, "Questa domenica" e "La talpa...".

Com'è andata?
«Risultati soddisfacenti. Il piacere per me è curare la versatilità della mia conduttrice, Paola Perego: dall'attualità
al varietà al reality...».

E il terzo programma?
«È il Festival di Sanremo, Bonolis ci fa correre anche se mancano quattro mesi».

Come andrà?
«Una cosa è sicura, Paolino stupirà. Il tentativo, difficile, è di frenare la fisiologica decadenza di uno
storico super programmone».

E cos'altro c'è in questa settimana?
«Parte a Roma la mia Accademia, "Studio 254", per giornalismo e spettacolo».

E se ne sentiva proprio il bisogno?
«Per me, sì. Dopo il coccolone, a luglio, mi sono detto: la Sparviera mi vuole stroncare? E io rilancio. Non dimenticare che sono un giocatore di poker. Il medico dice che faccio una vita faticosa? E io aggiungo un'altra super fatica...».

Bravo pirla! Ti vuoi male?
«Forse. Ma il lavoro è l'unico vero filo conduttore, una protezione, un rifugio, una boa!
Perciò lavoro anche a Natale e Pasqua e ho lavorato anche in ospedale».

Come tanti, dài. Non esaltiamoci.
«Ok. Ho fondato Studio 254 perché l'unica qualità che mi riconosco e mi riconoscono è quella di saper riconoscere il talento dei giovani. Ho assunto o lanciato tanti grandi giornalisti quando avevano i pantaloni corti!».

Massì, lo sappiamo. Massimo Donelli e Gian Antonio Stella, Ferruccio de Bortoli e Edoardo Raspelli, Gigi Moncalvo... Ma speri davvero di scovare altri talenti?
«Ne sarei felice. Sono un artigiano che insegna il mestiere ai ragazzi di bottega...».

Beh, la settimana cruciale è finita? Ci fermiamo qui?
«Manco per sogno. L'appuntamento più importante è l'uscita del mio film, "La perfezionista", che arriva in sala in questi giorni».

Un film aspro e grottesco, disperato. Perché?
«Confesso: è un sassolino che mi sono voluto togliere dalle scarpe. Sono conosciuto e spesso anche maltrattato (diciamo, forse anche giustamente maltrattato) come giornalista nazional popolare e autore televisivo di programmi leggeri, anzi chi mi vuol male li definisce trash!».

E non è così? Ammettilo, se sei in fase di confessione...
«Confesso questo gesto di superbia. Ho detto al mio amico Lucio Presta: voglio fare un film senza condizionamenti, nessuno che mi imponga l'attricetta di turno o gli argomenti da trattare, voglio metterci dentro il mio senso buffo e atroce della vita, scrivo e faccio la regia, ci stai a produrlo insieme con me? E lui ha accettato...».

Un altro pazzo. E già si sapeva.
«Ed ecco "La perfezionista": tutto ruota attorno all'amore, romantico, tra due giovani. Lui un musicista, lei di mente libera, una che non arretra di fronte a niente: volgarità e futilità della vita la sfiorano appena. Lo spunto nasce da una storia, sconosciuta, vera. Poi scoppia il dramma, la malattia di lui».

Senza svelare il finale, nel film si tratta anche di eutanasia. Puoi dire, con chiarezza, ciò che ne pensi tu?
«Tanto per fare un riferimento comprensibile sotto gli occhi di tutti: penso che la povera Eluana Englaro, che vive un'agonia terribile da sedici anni, abbia il diritto di essere accompagnata alla fine. Già veniamo al mondo non per nostra volontà... possiamo avere almeno il diritto di determinare la nostra morte?».

Secondo la Chiesa la vita appartiene a Dio.
«Appartiene a noi, se non abbiamo il dono della fede, o a chi abbiamo voluto dedicarla».

È un attacco alla Chiesa?
«Per carità! Ma a questo siamo ridotti? A dover reclamare l'ultimo pezzetto di libertà che ci rimane? Chi ha fede, si regoli secondo la Chiesa e secondo Dio. Ma chi fede non ha, abbia la libertà di pensare e agire diversamente - nel rispetto reciproco. Mio zio era un arcivescovo, ho tanti amici fra i sacerdoti e i cosiddetti princìpi della Chiesa. Nessun preconcetto, nessuna ostilità. Ma la mia libertà, la difendo con i denti».

Hai avuto problemi? Il film è pesante, difficile?
«Assolutamente no, anche se il giudizio non spetta a me. È andato a Ischia e ha riempito la sala: la gente rideva o si commuoveva, secondo il racconto».

E cosa rappresenta per te?
«È il mio testamento!».

Cioè?
«La vita è un non senso, bisogna viverla con dignità e senza paura, godendo dei pochi momenti buffi, ridendo di quelli grotteschi, accettando l'inevitabilità della polvere finale».

Ci sono provocazioni deliberate? Questo è il sospetto...
«Fanno capolino le polemiche sulle coppie di fatto e sulla crudeltà di certi medici... Ma l'unica vera provocazione è raccontare crudamente il senso della morte come può essere vissuto anche dai giovani».

E con gli attori come te la sei cavata?
«Non so se il film piacerà e non spetta a me valutarlo. Ma ho scoperto, prendendola dal teatro, un'attrice vera. Si chiama Aurora Mascheretti e avrà di certo successo, scommetto, se crederà nelle sue doti. È la Penelope Cruz italiana».

Sinceramente, della vita pensi davvero tanto male?
«Miele in apparenza, veleno e dolore sempre al fondo. Una vergogna è lasciare ai nostri figli questo Paese distrutto, nell'economia e negli ideali».

E cosa pensi del mestiere che fai? Del giornalismo ad esempio?
«A parte Libero, oggi è pura evasione. I direttori dei grandi giornali sono grandi inventori di vecchie e nuove evasioni».

La televisione?
«Per uscire da un'innegabile crisi, bisognerebbe avere il coraggio di legarsi sempre all'attualità, alla realtà.
Ma non come fa Santoro, da predicatore, maestro di teatralità e dunque di finzione.
O Gad Lerner, un fanatico e presuntuoso illiberale».

La crisi finanziaria?
«Come è evidente, nessuno ci capisce un accidente. Una sola cosa è certa: dopo la tempesta chi è ricco sarà più ricco e chi è povero sarà più povero».

Sono affermazioni superbe. Di' alla fine qualcosa di umile.
«Sono ignorante, per riuscire a imparare qualcosa ci vorrebbero almeno due vite. E la prima è andata. E questo è l'epigramma che ho scritto per me, per prendermi ogni giorno per il culo: Il contesto?/ Sono mesto/ Non riuscirò / a capirlo presto».


cesare@lamescolanza.com


Libero, 15-10-08










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