
GIOVANI
 
di Domenico Mazzullo
E’ ormai un luogo comune, accettato, collaudato e consumato dal
tempo, il considerare i giovani una generazione in decadenza, già
prima di raggiungere la maturità piena, età cui la decadenza,
dovrebbe ahimè succedere fisiologicamente e si spera lentamente e
senza dolore.
Credo e ho avuto modo di constatare come questo sia un concetto
abituale in ogni epoca ed appannaggio proprio della generazione che
giovane non è più e che vede la generazione che la segue e la
incalza dappresso, come meno valida, meno preparata, meno
culturalmente dotata, meno animata dalla solita “buona volontà” che
ancora non ho compreso cosa sia ed ove sia.
Era un concetto che sentivo ripetere, quando ero ragazzo, dalle
persone che erano sopra di me, come età, come meriti, come
esperienza, come ruolo, come gerarchia e che ora mi trovo a
sostenere anche io avendo raggiunto una età in cui certi concetti si
esprimono per dovere generazionale, se non anche per convinzione ed
esperienza vissuta.
Abituato come sono, per fortuna e spero di continuare ad esserlo
sempre, a pormi in discussione, ad interrogarmi sulla validità di
quanto penso ed affermo, di ciò in cui credo e confido, dei miei
valori e delle mie idealità e fino a che ne sarò capace, ritengo di
potermi ancora considerare giovane, ho più volte sottoposto al
vaglio della mia stessa e personale critica serrata questo concetto,
questa constatazione, questa convinzione ossia che le nuove
generazioni non siano migliori, sotto alcuni aspetti, di quelle
precedenti, ma anzi, se possibile peggiori, o meno valide, meno
preparate e meno adeguate ad affrontare le sfide e soprattutto i
compiti che la vita stessa ci sottopone e ci offre gratuitamente.
Purtroppo il vaglio, come dicevo, della mia critica severa, ha
sempre confermato questa sensazione, questa impressione, questa
constatazione, facilitato in questo compito, dal mio essere uno
psichiatra e quindi a contatto, per elezione e per passione, con le
difficoltà esistenziali, non è il caso di chiamarle patologie, delle
varie generazioni. Non sono mai stato felice
di questa acquisizione, anzi devo sinceramente dire che mi ha sempre
profondamente rattristato ed addolorato, per due motivi, uno sociale
e l’altro personale.
Il primo, più grave certamente è presto spiegato ed
immediatamente comprensibile: se una società è tale per cui le nuove
generazioni, quelle alle quali deve inevitabilmente ed
ineluttabilmente passare il “testimone” dalle mani di coloro i quali
li hanno preceduti, non sono migliori, più preparate, più forti e
più consapevoli, più mature, più adeguate di quelle precedenti che
tale “testimone” devono lasciare, allora ineludibilmente quella
società è in decadenza, decadenza tanto più vertiginosa quanto più
evidente è il fenomeno peggiorativo, di generazione in generazione.
Il secondo motivo è più privato e personale, anche se
certamente meno grave e coinvolgente per gli altri: se quando ero
ragazzo ascoltavo con una certa sufficienza e noia questi discorsi
sui tempi passati, sempre migliori, da parte dei grandi, che già
consideravo vecchi e sorpassati e oggi li faccio e soprattutto li
penso anche io, allora inappellabilmente devo dedurre che la età
matura e forse la vecchiaia ha raggiunto anche me.
Tutto questo fino a ieri, quando come a San Paolo sulla via di
Damasco mi si è parata davanti una consapevolezza nuova, inaspettata
e felicemente rassicurante, che ha fugato in un sol colpo i miei
tristi pensieri.
Ieri, per la terza volta ho partecipato, come ospite della
trasmissione, allo spettacolo televisivo “Studio 254 Show” che gli
allievi della Accademia di Cesare Lanza Studio 254 mettono in scena
e che va in onda per la
Gold TV Italia.
Conosco l’Accademia per averla vista nascere ed avervi
insegnato, conosco i ragazzi per averli avuti come allievi di mie
noiosissime lezioni, ma per la prima volta li vedevo all’opera tutti
nella costruzione di un programma televisivo, sotto la guida,
attenta, ma non ingombrante di Cesare Lanza.Al termine
del programma mi sono congedato da loro con una strana sensazione,
con una particolare emozione, con un nuovo sapore in bocca che solo
successivamente, con il trascorrere del tempo e nel chiuso di una
ritrovata solitudine ho potuto appieno apprezzare, comprendere,
razionalizzare, analizzare, concretizzare ed ora verbalizzare e
trasmettere.
Ho provato il sapore dolce amaro di sentirmi smentito dai
fatti, di verificare, di toccare con mano, di dover ammettere con
umiltà, di aver sbagliato, di aver equivocato, di aver male letto ed
interpretato, di aver mal compreso la realtà nelle mie fosche ed
oscure, pessimistiche previsioni.
E la prova inconfutabile del mio errore valutativo era proprio
lì davanti a me, chiara, evidente, immediatamente coglibile e
visibile, ineludibile nella sua esplicita realtà. La
prova era proprio in quei ragazzi, in quegli allievi, in quelle
Persone, appartenenti ad una generazione successiva alla mia, e che
si impegnavano, che lottavano, che si appassionavano, che soffrivano
nello sbagliare, che cercavano di imparare, che volevano conseguire
un risultato, raggiungere un obiettivo, coronare un sogno, che
volevano faticare per conseguirlo, che volevano sognare.
Non mi è stato tutto chiaro mentre ero con Loro, in mezzo a
Loro. Ho avuto bisogno di raccogliere i miei
pensieri in solitudine, di ripensare e riordinare le emozioni
provate, di rivedere sulla moviola della memoria i volti, le
espressioni, le ansie, le paure, le sofferenze anche, di quei
ragazzi che sognano e si impegnano per realizzare un sogno.
Solamente da solo ho potuto trarre le mie conclusioni, ho
potuto raccogliere le emozioni e le sensazioni in un pensiero
concluso e coerente, razionale e comunicabile.
E’ falso e solo per noi più maturi rassicurante e confortante
pensare, credere, essere convinti che le nuove generazioni siano
meno mature, meno volenterose, meno disposte al sacrificio di quanto
lo siano state quelle precedenti.
Sono felice di poter ammettere di aver fino ad ora sbagliato.
Ieri ho visto una ragazza dell’Accademia piangere a calde
lacrime, disperata, perché non riusciva a cantare bene una canzone,
la sua canzone. Mi sono commosso. Mi ha commosso.
Penso e sono convinto che finché continueranno ad esistere
ragazzi così il futuro dell’umanità è salvo ed assicurato.
Ringrazio Cesare Lanza che ha voluto e creato questa
Accademia, ringrazio i ragazzi che la compongono per avermi fornito
l’occasione di ricredermi, per avermi fornito l’opportunità di
ammettere di aver sbagliato.
29-10-10
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