Uno nessuno e centomila
(Luigi
Pirandello, 1926)
di Leonardo Imperi*
Questa è l’ultima opera di Pirandello; trattasi di un romanzo dal
quale si evince chiaramente la sintesi del pensiero dell’autore. Non
è possibile addentrarsi però nell’analisi della storia senza
premettere che alla base dell’idea pirandelliana c’è una concezione
vitalistica della realtà, secondo cui essa, nella sua interezza e
nella sua complessità, è relativa e dinamica, in un perpetuo
movimento vitale, inteso come eterno divenire, incessante
trasformazione da uno stato all'altro. Tutto ciò che prescinde da
questa metamorfosi si aliena dal mondo in cui è collocato, si
distacca dalla realtà, in una sola parola muore.
Occorre quindi rimuovere la maschera, intesa come persona, con la
quale ognuno di noi si presenta a sé stesso e agli altri, perché
probabilmente quella stessa maschera non avrà lo stesso colore che
noi le vediamo dipinto; più verosimilmente ne avrà centomila, o
forse addirittura nessuno.
Ed è proprio in questa moltiplicazione che l'io perde la propria
individualità, ovvero la concezione di sé stesso, fino a che non
sopraggiunge la follia. Che nell’opera di Pirandello è proprio
l’ancora di salvezza a cui si aggrappa il protagonista, Vitangelo
Moscarda, che rinunciando al proprio nome di battesimo coglie quel
rifiuto di una staticità profonda che imprigiona lui e noi tutti in
un prisma dove le direzioni di una stessa luce sono infinite.
*Iscritto corso recitazione avanzato, anno accademico 2009-2010