PORTO IL CAV IN TEATRO, MA SU QUESTO CLIMA D’ODIO NON SI SCHERZA



di Cesare Lanza

Sto preparando una pièce di varietà teatrale, «La Berlusconeide», in scena tra pochi giorni in un teatro romano. Ma ieri mattina, quando ho visto il titolo del Giornale, mi sono venuti i brividi: «Vogliono uccidere Berlusconi». A questo siamo arrivati? Ecco un titolo che ricorderemo a lungo e speriamo che non sia premonitore. Non c’è bisogno di particolare sensibilità politica, per avvertire il clima d’odio che si è diffuso nel Paese: stiamo andando ben oltre i confini tradizionali di una dura contesa polemica, di uno scontro tra interessi e obiettivi opposti. Lo scellerato auspicio del dirigente del Pd modenese - che si augura che qualcuno possa ficcare una pallottola in testa al Cavaliere - è un indizio inquietante, mi auguro solo stupido, dell’inquietante clima in cui stiamo precipitando.

Fermiamoci finché siamo in tempo. E mi chiedo: esiste qualche possibilità, senza scontri e senza sangue, di tornare alla normalità di un Paese civile, in cui l’opposizione riconosca e accetti pienamente i diritti di una maggioranza voluta con numeri indiscutibili dagli elettori? Ci vorrebbe forse una voce super partes, in grado di farsi ascoltare con rispetto e attenzione dalle parti contendenti, ma purtroppo questa voce non c’è. Ci sono figure di leader autorevoli da una parte (ovviamente Berlusconi e alcuni suoi ministri, in primis Tremonti; e tra i leader di crescente popolarità, a mio giudizio, c’è ora anche il mio amico Vittorio Feltri, che esprime con vigore l’esasperazione di quel popolo - ricordiamolo sempre, la maggioranza - che ha votato a destra). Sulla parte opposta, non c’è nessuno: non ci sono leader autorevoli e credibili a sinistra - sconnessa e divisa al suo interno - e questo è, prioritariamente, il problema centrale dell’anomalia politica italiana. Perché la sinistra ha governato a lungo, da quando Berlusconi è sceso in campo, ma politicamente non è riuscita a batterlo e ora, un po’ grottescamente, ci prova con una campagna estenuante, incentrata sulle attività sessuali del premier.

Non c’è dunque una voce super partes, autorevole presso gli schieramenti in campo: né il Quirinale, né la Corte costituzionale - si è visto nelle polemiche - sono stati riconosciuti come tale. Dobbiamo dunque rassegnarci allo scontro perpetuo, ai veleni quotidiani, alle tentazioni - notizia di ieri - omicide? Io penso di no. Penso che esista anche una moltitudine, come me, anche a destra e sinistra, inorridita dall’idea di violenza e attentati e piuttosto desiderosa che si ritorni alle regole indispensabili per la convivenza. Certo non sarà né semplice né facile: è bastato, ad esempio, che Ferruccio de Bortoli, il direttore del Corriere, ricordasse con un ammirevole editoriale le regole e i valori di un giornale d’informazione moderato, perché il fondatore del quotidiano antagonista, Eugenio Scalfari su La Repubblica, lo aggredisse e insultasse, addirittura senza limiti. Perché? Perché non si accettano e non si rispettano ruoli, idee e diritti diversi?

Ma torniamo alla mia «Berlusconeide». Da tempo pensavo a questo piccolo, ma forse intrigante esperimento in teatro. Spesso mi definisco, senza presunzione, un liberale assoluto. Un liberale non può che essere sdrammatizzante, non a caso ho definito la mia pièce un «antidramma». E alla radice del mio lavoro c’è proprio, prima di tutto, il desiderio di sdrammatizzare. Le chiacchieratissime attività sessuali del premier, a mio sommesso parere, non possono assolutamente essere un credibile filone utile per una persuasiva lotta politica. La politica non si fa così! Allo stesso modo alcuni vizietti pubblici e privati, le arroganze, le esagerazioni dei suoi oppositori non dovrebbero essere terreno di conflitto politico. Tutto questo intruglio, però, può essere, a destra e sinistra, utilizzabile per elementi di comicità, ironia, sarcasmo - proposti al fine di intrattenere e ottenere un sorriso, o qualche risata, a un pubblico, anche fazioso, ma disposto a divertirsi.

Ecco dunque che nel mio lavoro ci saranno canzoni, stornellate, parodie, gag comiche, imitazioni. Con due novità. La prima: in un teatro, luogo di nicchia, si affronta uno strepitoso caso di attualità, senza nascondersi allusivamente dietro un dito; la seconda: lo show sarà interrotto dagli interventi, liberi, degli spettatori. Con la speranza che la voglia di sorridere sia, almeno a teatro, superiore a quella di odiarsi. Sono previsti, tanto per dare l'idea - da liberale assoluto - un paio di duetti cantati interessanti: tra Silvio e Veronica e poi tra il premier e Papa Ratzinger. Vi prevengo! Ma di che cosa sto parlando? Mi sento estremamente e disperatamente fuori contesto. Ma spero di essere almeno all’opposto di quell’altra estremità, quella in cui ci si augura che una pallottola possa risolvere le contese. Sarò anch’io fuori contesto, ma io spero, invece, che siano ragione e rispetto a riprendere il sopravvento. Come arrivarci? Sono un artigiano dell’intrattenimento e solo questo posso proporre, nel mio piccolo.

Confesso che ero molto dubbioso, avevo pensato di lasciar perdere. Poi, ho deciso di andare avanti. Alla prima inviterò tutti i contendenti e a tutti, col mio show, vorrei dire che le armi (quelle vere, per fortuna e per ora «solo» minacciate) vanno metaforicamente deposte. È meglio tendersi la mano. Anche se, riconosco, per arrivare alla pace spesso è indispensabile la guerra. Ma anche in guerra si riusciva a ridere e a prendersi in giro.

cesare@lamescolanza.com

IL GIORNALE, 16-10-09

 





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